Era il 1994, avevo vent’anni e Pulp Fiction vinceva dopo cinque nomination l’Oscar per la miglior scenografia originale e la Palma d’Oro a Cannes partecipando da fuori concorso.
Non compresi subito quanto fosse immenso quel film.
Lo vidi dopo mesi dalla sua uscita in videocassetta.
E’ quasi banale raccontare quanto quel film abbia cambiato il cinema ed il mio amore per il cinema.
Tarantino sarà sempre ricordato come colui che rivoluzionò la scenografia, un regista che ha segnato un solco tra quello che c’era prima e ciò che c’è stato dopo.
Quello che mi aveva lasciato questa visione “pulp” della vita e della malavita erano state soprattutto la trasgressione, il poter pensare di essere uno di quei personaggi, di poter vivere una vità così al di fuori degli schemi.
Pensare di volersi strafare oppure di imbracciare un’arma.
Pensare di poter essere perfino “buonanotte Raquel”.
Come ho detto prima, avevo vent’anni.
Non ho potuto fare a meno di dare un tributo a questa perla degli anni ’90, i miei anni ’90.
E sono andata a rivederlo al cinema per festeggiare i 20 anni dall’uscita del film.
Emozionata nel rivedere le scene ed i dialoghi conosciuti a memoria, ho rivisto tutto in una chiave completamente diversa, ben consapevole che gli anni dello sballo sono ormai passati, che la potenzialità di una vita deviata non poteva più porsi davanti a me.
E finalmente ho visto “il cammino dell’uomo timorato”.
Che Pulp Fiction sia ancora più immenso di quanto on lo avessi già giudicato?
Io affermo di si!
Una piccola chicca, se andate a vedere Capitan America, The Winter Soldier, il personaggio interpretato da Samuel L. Jackson si fa credere morto e sulla sua lapide è riportato il passo di Ezechiele.
Il solco è stato ben tracciato.
KIT
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