Sono seduta al mio posto in Palabiennale. Si spengono le luci e dalle prime immagini capisco che dovrò affrontare un film che non sono sicura di voler vedere veramente. Al festival di Venezia il film non lo scegli tu, è lui a scegliere te.
Il conflitto che ha segnato l’Europa degli anni ’90 io me lo ricordo bene, ma quello che non so, quello che tutti noi non sappiamo è quanto sia profondo il segno che ha lasciato questo evento.
A raccontare questa guerra c’è Aida. Una delle tante e splendide protagoniste femminili di questa edizione della mostra della laguna veneta.
Aida è un’interprete che lavora presso la base delle Nazioni Unite mentre i serbi, capeggiati dal generale Mladic, stanno per entrare in Srebrenica. I negoziati di pace tra bosniaci e serbi purtroppo non hanno l’esito previsto ed in men che non si dica la base ONU si trova investita da una folla di profughi che, per quanti sono, devono rimanere per la maggior parte all’esterno, senza cibo nè servizi. Aida ha un marito e due figli maschi. Uno frequenta le superiori, l’altro l’università ma solo uno di loro è riuscito ad entrare nella base mentre l’altro attende assieme al padre non si sa bene cosa.
Grazie alla promessa di mandare il proprio marito a trattare con i serbi, come richiesto dallo stesso Mladich, Aida ottiene di far entrare il marito ed il figlio nella base, cercando di ignorare tutte le richieste di aiuto degli altri profughi che osservano i loro movimenti aldilà della rete. Ma ad un certo momento la situazione precipita. I Serbi riescono ad entrare nella base grazie al consenso dei militari ONU che dimostrano, in questa situazione, quanto il non prendere delle decisioni sia stata la condanna dei cittadini che si sarebbero dovuti proteggere.
La fine della storia purtroppo la conosciamo ed ha portato all’eccidio di 8732 persone.
Quo vadis, Aida? è un film assolutamente da vedere. Drammatico, forte, non risparmia nulla ma è la voce necessaria per raccontare questa guerra che trova ancora troppa poca voce.
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